La decisione quadro del 13 giugno 2002 relativa al mandato d'arresto europeo (GUCE, L 190 del 18.7.02) costituisce la prima concretizzazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni nel settore penale. L'iter normativo che ha condotto alla sua adozione è stato molto controverso e assai dibattuta è stata la sua trasposizione nell'ordinamento italiano, avutasi, infatti, solo nell'aprile 2005 (con legge 22.4.05, n. 69, in GURI, n. 98 del 29.4.05), con grave ritardo rispetto al termine prescritto per il suo recepimento (31.12.03) e addirittura dopo che essa era stata trasposta nei dieci nuovi Stati che hanno aderito all'Unione europea il 1.5.04. Il maggior lasso temporale di cui il nostro legislatore si è avvalso per tale trasposizione sembra aver smorzato solo parzialmente le polemiche cui si è accennato, numerosi essendo infatti i profili della legge di attuazione poco conformi alle prescrizioni della decisione quadro. Si pensi, ad esempio, già alla dichiarazione di principio contenuta nella disposizione di apertura della legge (art. 1, par. 1), dove si afferma che l'attuazione della decisione quadro è realizzata «nei limiti in cui [le sue] disposizioni non sono incompatibili con i principi supremi dell'ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali, nonché in tema di diritti di libertà e del giusto processo»; ma anche, e soprattutto, ai diversi motivi ostativi al riconoscimento/esecuzione della decisione straniera introdotti dal nostro legislatore ma non previsti dalla decisione quadro.
Proprio sullo studio di questi motivi si concentrerà la ricerca, il cui obiettivo è infatti quello di verificare l'atteggiamento della giurisprudenza (debitamente reperita) in relazione all'operatività di cause ostative alla circolazione delle decisioni giudiziarie emesse da autorità di altri Stati membri previste solo dalla nostra legge di attuazione, ma non indicate dalla decisione quadro. Ad oggi uno dei motivi ostativi più discussi a livello giurisprudenziale è stato quello di cui alla lett. e) dell'art. 18, secondo cui l'esecuzione del mandato deve essere negata «se la legislazione dello Stato membro di emissione non prevede i limiti massimi della carcerazione preventiva». Dopo pronunce contrastanti della Sez. VI della Cassazione, sull'interpretazione da attribuire a tale previsione si sono pronunciate le Sezioni Unite. Anche la Corte costituzionale è stata investita di una questione di legittimità costituzionale della norma, recentemente dichiarata inammissibile. Lo studio è finalizzato all'analisi di tali pronunce, con lo scopo di stabilire, tra l'altro, se diversa avrebbe potuto essere la soluzione della Corte costituzionale e se eventualmente, previa ulteriore rimessione della questione di costituzionalità, essa potrebbe pronunciarsi "nel merito". La ricerca verterà quindi, anche, sul reperimento e l'analisi di altre decisioni che accertino l'applicabilità di altri motivi ostativi previsti solo dalla legge n. 69/05.