Lo scopo del progetto è quello di portare un contributo alla conoscenza dei linguaggi politici che avevano corso nella Lombardia basso medievale, con particolare attenzione alla effettiva incidenza che quei linguaggi avevano sugli equilibri politici correnti e sulle dinamiche costituzionali.
Più in dettaglio, ci si propone di mettere a frutto i metodi d'indagine affinati dal gruppo di ricerca nel corso degli ultimi due anni e dei quali si è cominciato a dare comunicazione in alcune pubblicazioni (v. bibliografia).
Due, in particolare, i punti qualificanti del progetto.
Da un lato l'attenzione per le circostanze d'uso del linguaggio, in accordo con gli sviluppi anglosassoni della sociolinguistica e della storia delle idee, che per prime hanno messo a fuoco la funzione polemica e rivendicativa dei linguaggi, talora propriamente "performativa".
Dall'altro lato, l'abbandono consapevole del terreno esclusivo dei "grandi autori", dei testi prodotti da umanisti e filosofi , cui si è preferito quell'ampio ventaglio di fonti che per convenzione sono definite "pragmatiche", quali capitoli, gravamina, arenghe, missive, statuti, testimoniali, atti notarili, e via dicendo, solitamente trascurate dagli storici delle idee come da quelli della cultura "alta".
Se questo è dunque l'orizzonte metodologico e tematico entro cui si svolgerà la ricerca, il gruppo si prefigge di indagare con particolare attenzione alcuni ambiti, quali:
1) Il mito del principe giusto, un ideale di sovranità garante degli status individuali e collettivi istituiti, dispensatrice ad ogni suddito del suo "ius", che ispirava effettivamente le forme e le aspirazioni con cui comunità e singoli si rivolgevano ai duchi di Milano.
2) Il patto politico tra principe e sudditi. Signori locali, città e comunità non si immaginavano come sudditi obbligati ad una fedeltà incondizionata nei confronti del duca di Milano, bensì come contraenti di un patto che obbligava entrambe le parti, i sudditi alla fedeltà e all'obbedienza, i principi alla protezione, alla garanzia della pace, all'assicurazione della giustizia e al rispetto dei privilegi elargiti.
3) Il repubblicanesimo cittadino. Cioè la (eventuale) identificazione di ceti urbani nell'idea di città come governo della cosa pubblica o degli interessi pubblici e come complesso dei suoi privilegi ed autonomie; un linguaggio presente ma non sempre dominante o condiviso dall'universale, che si coglie attraverso fonti di matrice cittadina, capitoli, statuti, suppliche, provvigioni e lettere.
4) Il linguaggio politico dei domini loci. L'autorità signorile, lungi dal presentarsi come un mero esercizio della forza, costruì la propria legittimità sia di fronte al principe, sia di fronte agli homines attraverso immagini, rappresentazioni ecc.
5)Il linguaggio delle Fazioni: le Parti non come fonte di disordine, ma come espressione di equalitas nella società
6) L'idea di bene comune e i suoi sviluppi post comunali (tema ancora largamente inesplorato)