Quella che si pone non è una domanda retorica. Si parla spesso di diritti naturali, ma c¿è chi sostiene che essi non esistano. Per esempio, Hans Kelsen. Per Kelsen un diritto non è altro che l¿autorizzazione a fare qualcosa (cioè un potere) conferito ad una persona da una regola giuridica. Non c¿è un diritto naturale, e dunque non ci sono nemmeno dei diritti naturali.
Non bisogna essere troppo veloci nel saltare alla conclusioni. Il fatto che un positivista come Kelsen sostenga che non c¿è un diritto naturale, non vuol dire che il positivismo giuridico sia incompatibile con l¿idea che ci sia un diritto naturale.
La domanda da porre è: quali standard possiamo usare per giudicare il diritto? Per Kelsen, l¿unico standard interno è dato dai criteri per stabilire quando una regola sia valida, gli altri standard sono esterni. Per esempio, il punto di vista dell¿effettività o quello della moralità. Un¿alternativa: il contenuto minimo del diritto naturale. In questo caso, gli standard sono interni all¿idea di diritto, ma non sono i criteri di validità di un ordinamento. Il diritto naturale minimo ci indica sotto quali condizioni possiamo dire che un ordinamento giuridico sia un buon diritto.
Il giusnaturalismo non è incompatibile con lo studio descrittivo del diritto positivo, ma solo con il soggettivismo etico. Se si accetta che i criteri di valutazione della bontà di qualcosa non dipendono esclusivamente dalle preferenze degli individui, c¿è spazio per l¿idea che ci sia un diritto naturale. L¿idea della ¿natura delle cose¿ nella dottrina giuridica. L¿obiezione. Se mi sbaglio sulla natura di qualcosa, non vuol dire che le cose non abbiano una natura.
Diritto naturale e diritti naturali. Il passaggio dal criterio di valutazione al potere di fare qualcosa. A questo punto si entra nella filosofia politica, perché la questione dei diritti naturali diventa un problema di distribuzione di spazi di libertà individuale.