La ricerca che si intende svolgere con il contributo richiesto verte sul vadimonium e, più in generale, sulle formalità introduttive del processo civile romano nel sistema formulare. Muovendo dall'esame delle fonti epigrafiche e letterarie sulla stipulazione stragiudiziale di certo die sisti, lo studio si estenderà all'indagine sulla in ius vocatio nel sistema formulare e sulla sua graduale sostituzione nell'ambito delle cognitiones extra ordinem, diffusesi già in età classica soprattutto in territorio provinciale, di atti di citazione o strumenti di introduzione del processo diversi da quello caratteristico nel sistema dell'ordo iudiciorum privatorum (almeno fino ad una certa epoca). Esso comprenderà, inoltre, l'indagine sul rapporto tra la in ius vocatio e l'editio actionis ed instrumentorum, cosiddette stragiudiziali. Su quest'ultimo aspetto, in particolare, si vaglieranno le fonti alla ricerca di spunti utili per delineare il momento storico in cui alla cosiddetta astrattezza della in ius vocatio si cominciò a sopperire per mezzo dell'editio stragiudiziale e in cui, infine, quest'onere venne configurato nella riflessione giurisprudenziale in termini di dovere in capo alla parte che assumeva l'iniziativa processuale. A questo proposito, l'esame delle tabulae Sulpiciorum concernenti esemplari di vadimonia stragiudiziali, in particolare l'analisi di quei documenti che mostrano come nel formulario del vadimonium potesse essere prevista l'editio actionis o comunque indicazioni utili sulle pretese che il futuro attore avrebbe avanzato in iure (come TPSulp. 2-3 e 15), offre di vagliare il rapporto tra l'uso di questa stipulazione antecedente alla in ius vocatio e l'introduzione di un obbligo di effettuare l'editio (actionis ed instrumentorum).
Il tema è complessivamente affrontato sotto una specifica prospettiva, quella della garanzia di un giusto contraddittorio tra le parti nel sistema formulare in particolare, e di un equo bilanciamento tra le opposte esigenze della parte attrice e della parte convenuta. Da un lato, rilevava l'esigenza di garantire effettività di tutela alla parte che assumeva l'iniziativa processuale per far valere un diritto già riconosciuto dall'ordinamento, oppure una situazione che il pretore nell'ambito della propria iurisdictio avrebbe potuto ritenere meritevole di tutela. Questo poteva essere assicurato solo consentendo in concreto l'esercizio della potestas agendi e l'accesso ai meccanismi processuali predisposti dall'ordinamento romano. Dall'altro lato, rilevava la garanzia di una giusta difesa per il convenuto, intesa sia come garanzia che la controversia fosse sottoposta al magistrato competente, specie in presenza di uno specifico privilegium del vocatus, ad esempio, il ius domum revocandi -, sia come garanzia di poter validamente replicare all'avversario.