"Alimentare" il rispetto. Politiche alimentari e istanze minoritarie in società multiculturali
Progetto Di fronte al dato di fatto dell’esistenza di società democratiche multiculturali, il mondo del diritto non può non interrogarsi su come contemperare le esigenze dell’uniformità delle regole giuridiche (ai vari livelli legislativi) e la necessità di tutelare le istanze di minoranza in relazione ai diversi settori della convivenza sociale. Tale necessità è ribadita in numerose fonti normative, internazionali e nazionali, e trova il più concreto appiglio nell’art. 3 della Costituzione italiana, il quale, come è noto afferma che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Se però non scarseggiano le analisi su questioni pubbliche che ottengono visibilità mediatica per le evidente implicazioni di politica spicciola (valga per tutte il caso del cosiddetto velo islamico); e se nemmeno manca una discreta attenzione circa il ruolo che il multiculturalismo finisce per avere per certe aree giuridiche (basti pensare all’incidenza che possono avere i reati culturalmente motivati nello stimolare a ripensamenti teorici importanti branche giuridiche come il diritto penale); quel che sin qui ha invece trovato una minore considerazione scientifica è il tema delle abitudini alimentari e dei conflitti che in questo settore si possono sviluppare
Eppure è quasi banale osservare che uno dei modi attraverso i quali prende forma il rispetto verso le persone è il rispetto verso le loro abitudini alimentari. Come è noto, infatti, il cibo non è soltanto condizione della sopravvivenza materiale del singolo, ma è anche un tipo di espressione simbolica e culturale mediante la quale le persone da un lato veicolano le proprie tradizioni e affermano la propria identità, dall’altro esercitano la propria autonomia ed esprimono se stesse e la propria individualità. Da questo punto di vista, è allora difficile negare che i modelli alimentari finiscono per assumere un’indubitabile pertinenza per la società globalmente intesa e, più nello specifico, per il mondo dello studio e della produzione delle regole.
E tuttavia non appare infondato affermare che i filosofi del diritto in particolare e i giuristi più in generale si sono sino a oggi scarsamente interrogati sul pluralismo alimentare; ciò risulta tanto più grave quanto più è evidente la presenza di diverse culture che convivono nelle società liberali e democratiche contemporanee e che dunque possono trovare nell’area delle abitudini alimentari ulteriori modalità di integrazione oppure nuovi fattori di conflitto. Pluralismo alimentare, multiculturalismo, diritto: si tratta, in definitiva, di provare a legare assieme questi tre plessi concettuali, in un modo che sia allo stesso tempo analiticamente stringente e normativamente plausibile.
Esiste, a onor del vero, una letteratura relativamente corposa su alcune questioni specifiche, quale, per esempio, la macellazione rituale; e non sono mancati, all’interno di questa letteratura, tentativi di mettere in relazione queste questioni con tematiche più ampie relative alla libertà religiosa e al suo esercizio. Ciò è in parte sicuramente dovuto all’attenzione che il legislatore nazionale – autonomamente in passato, sulla spinta delle regolamentazioni approvate a livello co
Se però non scarseggiano le analisi su questioni pubbliche che ottengono visibilità mediatica per le evidente implicazioni di politica spicciola (valga per tutte il caso del cosiddetto velo islamico); e se nemmeno manca una discreta attenzione circa il ruolo che il multiculturalismo finisce per avere per certe aree giuridiche (basti pensare all’incidenza che possono avere i reati culturalmente motivati nello stimolare a ripensamenti teorici importanti branche giuridiche come il diritto penale); quel che sin qui ha invece trovato una minore considerazione scientifica è il tema delle abitudini alimentari e dei conflitti che in questo settore si possono sviluppare
Eppure è quasi banale osservare che uno dei modi attraverso i quali prende forma il rispetto verso le persone è il rispetto verso le loro abitudini alimentari. Come è noto, infatti, il cibo non è soltanto condizione della sopravvivenza materiale del singolo, ma è anche un tipo di espressione simbolica e culturale mediante la quale le persone da un lato veicolano le proprie tradizioni e affermano la propria identità, dall’altro esercitano la propria autonomia ed esprimono se stesse e la propria individualità. Da questo punto di vista, è allora difficile negare che i modelli alimentari finiscono per assumere un’indubitabile pertinenza per la società globalmente intesa e, più nello specifico, per il mondo dello studio e della produzione delle regole.
E tuttavia non appare infondato affermare che i filosofi del diritto in particolare e i giuristi più in generale si sono sino a oggi scarsamente interrogati sul pluralismo alimentare; ciò risulta tanto più grave quanto più è evidente la presenza di diverse culture che convivono nelle società liberali e democratiche contemporanee e che dunque possono trovare nell’area delle abitudini alimentari ulteriori modalità di integrazione oppure nuovi fattori di conflitto. Pluralismo alimentare, multiculturalismo, diritto: si tratta, in definitiva, di provare a legare assieme questi tre plessi concettuali, in un modo che sia allo stesso tempo analiticamente stringente e normativamente plausibile.
Esiste, a onor del vero, una letteratura relativamente corposa su alcune questioni specifiche, quale, per esempio, la macellazione rituale; e non sono mancati, all’interno di questa letteratura, tentativi di mettere in relazione queste questioni con tematiche più ampie relative alla libertà religiosa e al suo esercizio. Ciò è in parte sicuramente dovuto all’attenzione che il legislatore nazionale – autonomamente in passato, sulla spinta delle regolamentazioni approvate a livello co