Al termine di un lungo e travagliato iter preparatorio, il 12.12.2006 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno approvato la Direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno. Rispetto al più ambizioso obiettivo originario che assoggettava le prestazione di servizi «esclusivamente alle disposizioni nazionali dello Stato membro d’origine», il testo approvato intende garantire «il diritto dei prestatori di fornire un servizio in uno Stato membro diverso da quello in cui sono stabiliti» (art. 16), escludendo che gli Stati membri possano subordinare l’esercizio di tali attività al rispetto di requisiti aventi natura discriminatoria o privi dei caratteri di necessità e proporzionalità. Entro il 28.12.2009, gli ordinamenti nazionali sono chiamati ad una generale semplificazione delle procedure amministrative di accesso alle attività di servizi e alla rimozione dei regimi di autorizzazione non giustificati da ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell’ambiente.
La direttiva pone numerose difficoltà sul piano applicativo soprattutto a causa della genericità di alcune sue previsioni. Alcuni problemi riguardano il suo coordinamento con la direttiva 96/71/CE sui lavoratori distaccati nell’ambito di una prestazione di servizi e difficoltà ancora maggiori si pongono in ordine alla concreta individuazione delle ragioni che possono giustificare limitazioni o restrizioni nell’accesso alle attività di servizi.
Lo schema di decreto legislativo di recepimento, attualmente in fase di elaborazione presso le competenti sedi ministeriali, non riesce a soddisfare tali esigenze, limitandosi a riproporre i contenuti della direttiva senza individuare le specifiche norme destinate all’abrogazione e senza altresì definire i criteri ai quali deve uniformarsi la legislazione regionale e locale.
La presente ricerca si propone, quindi, di procedere ad un’accurata ricostruzione degli orientamenti della Corte di Giustizia, quale strumento imprescindibile ai fini di una puntuale lettura della direttiva, con particolare riguardo alle nozioni di quest'ultima che maggiormente riflettono le determinazioni del giudice comunitario. L’indagine si soffermerà in particolare sulle pronunce intervenute sulla nozione di «servizio», dalla quale dipendono i confini applicativi della direttiva, e sulle decisioni che hanno individuato il significato della nozione di «discriminazione» e dei «motivi imperativi di interesse generale» che, secondo la direttiva, giustificano eventuali limitazioni nell’accesso all’attività di servizi. Al termine di questa prima fase di ricostruzione degli orientamenti della giurisprudenza comunitaria si procederà all’esame dei principali regimi autorizzatori attualmente vigenti nella legislazione nazionale al fine di individuare con maggiore puntualità le disposizioni interne che possono ritenersi giustificate in quanto conformi alle previsioni della direttiva.