La fibrillazione atriale è la più comune aritmia cardiaca con una prevalenza dello 0.4% nella popolazione adulta. Tale prevalenza sale con l'avanzare dell'età attestandosi attorno al 9% nei pazienti con più di 80 anni. La fibrillazione atriale raddoppia il rischio di mortalità per cause cardiache e, in assenza di adeguata terapia anticoagulante, aumenta di 5 volte il rischio di stroke.
A fronte di un impatto così elevato sulla mortalità e morbilità, non vi sono tuttora a disposizione terapie definitive per il trattamento di questa patologia. Attualmente i risultati migliori sono stati ottenuti mediante la creazione di lesioni a livello delle pareti degli atri in grado di controllare i circuiti elettrici aberranti che causano o mantengono la fibrillazione atriale. Tali lesioni vengono effettuate applicando al tessuto atriale energia ottenuta da varie fonti e veicolata al tessuto stesso con dei cateteri. Due sono le metodiche a disposizione per fare arrivare i cateteri a contatto del tessuto atriale: la via percutanea e la via chirurgica. La via percutanea è senza dubbio la via meno invasiva, ma ha lo svantaggio di non permettere all'operatore di vedere fisicamente le lesioni prodotte che possono quindi non essere del tutto corrette. L'approccio chirurgico permette di evitare questo inconveniente, ma ha lo svantaggio di richiedere una sternotomia od un'ampia toracotomia motivo per il quale riteniamo etico proporre tale soluzione solo a pazienti che devono essere sottoposti ad intervento cardiochirurgico concomitante. In questo modo però sono esclusi dal trattamento i pazienti con fibrillazione atriale isolata che sono coloro che maggiormente sono responsivi alla terapia ablativa.
Le moderne tecnologie permettono altresì di poter abbinare il vantaggio di entrambe le procedure; infatti con tecniche di toracoscopia video assistita è possibile effettuare le linee di lesione sotto il controllo diretto della vista mantenendo un approccio minimamente invasivo. L'approccio toracoscopico, per altro già pratica comune in Centri specializzati, permette di trattare con buoni risultati solo pazienti con fibrillazione atriale parossistica in quanto la metodica non prevede, per motivi tecnici, l'esecuzione di una linea ablativa fondamentale per il trattamento della fibrillazione atriale isolata permanente: l'istmo sinistro.
Con lo studio da noi proposto riteniamo che tale linea ablativa possa essere eseguita in sala operatoria subito dopo l'isolamento endoscopico delle vene polmonari mediante l'utilizzo di tecniche percutanee con utilizzo di sistemi di mappaggio elettrofisiologico (CARTO). Tali metodiche permetterebbero di trattare tutti i pazienti con fibrillazione isolata con buon successo. Per tale motivo ci prefiggiamo di effttuare uno studio pilota di fattibilità di tale approccio arruolando 10 pazienti affetti da fibrillazione atriale isolata cronica e candidati a procedura chirurgica mini-invasiva.