Fino alla c.d. "privatizzazione del pubblico impiego" avvenuta con il d.lgs. n. 29/1993 (oggi trasfuso nel d.lgs. n. 165/2001) di attuazione della l. n, 421/1992, il recesso dal rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni si differenziava nettamente rispetto a quello privatistico. Tutta la disciplina del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti era assoggettato infatti al regime pubblicistico, differenziato innazitutto tra personale non dirigenziale (cui si applicava il DPR n. 3/1957) e dirigenziale (cui si applicava il DPR 748/1972 per taluni profili derogatorio rispetto alla disciplina generale). Quanto all¿estinzione del rapporto di lavoro, il DPR appena citato prevedeva cinque ipotesi: per quanto concerneva il recesso datoriale, la dispensa dal servizio del lavoratore incapace (art. 71), il collocamento a riposo nei casi di soppressione o riduzione del ruolo organico (art. 72 e ss.), la decadenza dall'impiego conseguente alla perdita dei requisiti soggettivi prescritti per l'assunzione (art. 127 e ss.), nonché la destituzione di diritto per comportamenti gravi (art. 83 e ss.); per quanto riguardava, invece, il recesso del dipendente, le dimissioni (art. 124 e ss.).
Pur nel silenzio del d.lgs. n. 165/2001, che a ben vedere non si occupa esplicitamente del recesso, la contrattualizzazione del pubblico impiego ha necessariamente reso applicabile le fattispecie estintive privatistiche.
Dunque, con riguardo al recesso datoriale, a livello individuale, il licenziamento potrà avvenire legittimamente solo per giusta causa art. 2119 c.c. o giustificato motivo ex art. 3 l. 604/1966 (anche se grazie all'art. 51 c. 2 d.lgs. n. 165/2001 la tutela reale di cui all'art. 18 Stat. Lav. nel pubblico impiego trova sempre applicazione indipendentemente dal numero dei dipendenti impiegati nell'unità produttiva); mentre a livello collettivo, il recesso datoriale potrà essere realizzato solo per riduzione o trasformazione di attività o di lavoro ex l. n. 223/1991. Così anche il recesso del lavoratore trova ora la sua disciplina nel codice civile e nelle leggi complementari.
La ricerca prospettata appare interessante non solo per la scarsa attenzione mostrata in dottrina verso l¿istituto - anche a causa del silenzio del legislatore di cui si è già accennato -; ma anche viste, da un lato, la recentissima riforma del sistema delle dimissioni ex l. n. 188/2007 e, dall'altro, l'attualissimo dibattito sulle strategie per una rivisitazione della disciplina dell'impiego pubblico al fine di stigmatizzare l¿attuale generalizzato scarso rendimento dei pubblici impiegati che, si ritiene, sia in massima parte determinato dalla eccessiva stabilità del posto pubblico.