In contrasto con il ritorno di interesse per la metafisica in molti ambiti della filosofia contemporanea il suo rifiuto da parte della filosofia politica si è se mai intensificato.La tesi rawlsiana sul fatto del pluralismo, secondo cui, data la divergenza insuperabile tra metafisiche divergenti, la metafisica è in sé priva di qualsiasi potere giustificativo di principi politici nelle società liberali mature, costituisce una sorta di punto fermo paradigmatico. Questa tesi dipende da una posizione agnostica, secondo cui la filosofia politica non deve aderire alla metafisica né sabotarla, ma semplicemente spostarla fuori dall¿ambito del discorso politico. Non a caso, l¿irrilevanza pubblica della metafisica è strettamente connessa in questo argomento alla irrilevanza pubblica delle credenze religiose operata dalla Riforma protestante, che ridefinisce la credenza come un fatto interno, riconducibile cioè a intimi rapporti tra il credente e la divinità. In che senso un¿interpretazione privatistica della credenza valga a attenuare lo zelo fondamentalistico dei credenti sullo sfondo delle guerre di religione è piuttosto chiaro. Poiché si ritiene che un disaccordo assolutistico tra credenze non possa essere chiuso con il riferimento a uno standard assoluto, bisogna giustificare la tolleranza: pur escludendo di poterla giustificare come uno standard vero, la si vuole però giustificare come uno standard oggettivo e incondizionato. L¿elusione della verità ha un movente politico pacificatorio (la verità divide) e un movente epistemologico anti-autoritario (la verità costringe lo si voglia o no) che spiegano la centralità dell¿idea di accordo su ragioni pubbliche nel liberalismo politico. Stabilire quali fatti di una cultura pubblica devono diventare ragioni significa escludere che vi siano ragioni vere di cui si deve prendere atto: ma se si vuole che tali ragioni estratte da fatti siano oggettive bisogna che mantengano una validità cognitiva, cioè che siano in grado di distinguere modi giusti e sbagliati di giudicare senza dipendere da una giustificazione che li convalidi come veri. Li si giustificherà quindi come condivisibili da parte di credenze che riconoscano la pubblica irrilevanza della loro pretesa di essere vere per sottoscriverli. E¿ così che la ragionevolezza diventa il criterio regolativo per delimitare la constituency della giustificazione a chi sa considerare vere le sue credenze senza pretendere che standard politici debbano assecondarle. La ricerca in corso intende stabilire che cosa questo implica per la relazione tra ragionevolezza e verità, e cioè se standard politici ragionevoli non sono incongruenti con le credenze vere degli individui ragionevoli. Se così fosse,la validità degli standard non sarebbe neutrale tra credenze vere non incongruenti e incongruenti con la loro ragionevolezza e la giustificazione delle istituzioni liberali non sarebbe imparziale.