La prima parte della ricerca si è occupata di indagare i più rilevanti profili della disciplina del patto di non concorrenza (art. 2125 c.c.). Sono state oggetto di indagine le condizioni di validità di tale patto, con specifico riferimento ai limiti di tempo, oggetto e luogo. In proposito, è emerso da alcune pronunce di merito un sempre più difficile contemperamento tra esigenze di difesa concorrenziale dell¿impresa e possibilità di lavoro dei dipendenti: infatti, se da un lato l¿apertura dei mercati a livello internazionale, la concentrazione verso imprese di dimensioni maggiori e la crescente interrelazione tra settori diversi porta i datori di lavoro a richiedere patti di non concorrenza aventi oggetto e confini spazio-temporali sempre più ampi, dall¿altro lato i medesimi patti rischiano di circoscrivere entro ambiti sempre più limitati le possibilità di reimpiego o di mobilità verso altra occupazione dei lavoratori. Si è cercato in questa prima fase della ricerca di individuare alcuni criteri di bilanciamento tra gli interessi datoriali e quelli dei lavoratori e, al riguardo, la giurisprudenza appare concorde nel ritenere che il patto di non concorrenza è valido se risulta contenuto in limiti di tempo, di oggetto e di luogo tali da consentire al prestatore di lavoro, dopo la cessazione del rapporto, un margine di attività non coperta dal vincolo, che gli assicuri un guadagno idoneo ad appagare le esigenze di vita propria e della famiglia. Al contrario, il patto è ritenuto nullo allorché la sua ampiezza sia tale da comprimere l¿esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in limiti che ne compromettano ogni potenzialità reddituale. Quanto agli strumenti di reazione predisposti dall¿ordinamento a fronte della violazione del patto, la giurisprudenza di merito ha ritenuto che l'ex datore di lavoro possa esperire l'azione cautelare tendente a ottenere un provvedimento che inibisca al lavoratore lo svolgimento dell'attività concorrenziale illegittima.
In questa seconda fase della ricerca si procederà alla disamina dei diversi strumenti contrattuali previsti, durante la vigenza del rapporto di lavoro, al fine di limitare la possibilità del lavoratore di recedere prima di un certo termine o con un preavviso ritenuto troppo breve. Saranno analizzate condizioni e limiti di validità delle c.d. clausole di durata minima garantita ¿ con le quali il lavoratore si obbliga a permanere alle dipendenze del datore di lavoro per un determinato periodo ¿ e delle ipotesi di prolungamento del periodo di preavviso. Oggetto di specifica valutazione saranno i limiti dettati all¿autonomia privata dalle norme inderogabili poste a tutela dei lavoratori. In conclusione, saranno passati in rassegna ulteriori strumenti contrattuali volti a garantire, direttamente o indirettamente, la fidelizzazione del lavoratore (quali i fringe benefits, le diverse forme di retribuzione variabile, i piani di formazione incentivata e finanziata dall¿impresa, ¿).