La prima fase della ricerca è stata dedicata alla disamina delle più rilevanti norme antidiscriminatorie presenti nel diritto del lavoro italiano, con particolare riferimento all¿art. 15, L. 300/70.
Da tale analisi è emerso che i divieti di discriminazione configurano limiti di carattere generale, che intervengono con riferimento a tutte le posizioni di potere datoriale. Peraltro, detti divieti configurano solo limiti interni: impongono cioé che l¿atto di esercizio del potere sia volto a soddisfare solo e soltanto l¿interesse datoriale in vista del quale il potere è attribuito. Dunque, le cause discriminatorie illecite fungono da criterio di controllo dell¿esercizio delle prerogative datoriali: in questi casi l¿interesse contrapposto del lavoratore non è considerato dalla norma e non viene mai fatto oggetto di protezione diretta, ma solo indiretta. Quanto alla distinzione tra discriminazione diretta e indiretta, dall¿indagine è risultato che con la formula della discriminazione indiretta il legislatore si è limitato a ribadire che tale divieto è un limite interno ai poteri datoriali, senza nulla aggiungere sotto il profilo sostanziale al modello di discriminazione già noto. Le disposizioni in tema di discriminazione indiretta assumono consistente rilievo in tema di onere della prova, prevedendo una parziale inversione a favore del lavoratore.
A partire da tali osservazioni, nella seconda parte della ricerca si considererà il rapporto tra divieti di discriminazioni e parità di trattamento, chiedendosi che cosa si intenda per parità di trattamento e che differenza vi sia rispetto ai divieti di discriminazione.
A quest¿ultimo proposito, una prima linea di ricerca riguarderà la distinzione tra parità di trattamento in senso positivo e parità di trattamento in senso negativo.
Chiariti questi concetti, ci si chiederà poi se la parità di trattamento, in una delle sue due accezioni, possa essere considerata principio generale dell¿ordinamento giuslavoristico.