Nell'ambito dell'attività letteraria è noto come un'opera possa essere riferita al suo autore in termini di appartenenza. A fondamento di ciò si pone l'atto generativo che è alla base del rapporto tra l'autore e la sua opera. Tale atto generativo è chiaramente sottolineato dall'uso metaforico del concetto di paternità nell'espressione "paternità letteraria".L'equiparazione tra un filius ed un'opera come prodotti di un pater, benché pienamente efficace sul piano descrittivo, non poteva però andare oltre il momento creativo e trovava un fermo limite proprio sul piano giuridico nell'impossibilità di delineare una uguale disciplina per il figlio e per l'opera tanto in riferimento agli atti di disposizione quanto in riferimento agli strumenti di tutela. Nonostante un'opera come un figlio fosse riferita all'autore in termini di appartenenza, il carattere incorporale, l'aspetto cioè ideativo, ne escludeva infatti sia la mancipatio sia la vindicatio.
Più in generale, l'inquadramento in termini di paternità e quindi di appartenenza del rapporto tra autore ed opera e l'impossibilità di ricondurre in termini giuridici tale inquadramento (in quello che sarà poi il concetto della proprietà letteraria) furono fattori che si posero alla base di una mancata regolamentazione di tale rapporto nell'ordinamento romano verificabile tanto nell'ambito degli atti di disposizione tanto in quello degli strumenti di tutela. Alla luce di tali constatazioni si cercherà di delineare la peculiare prospettiva giuridica del rapporto tra autore ed opera letteraria nell¿esperienza romana antica.