L'immunità degli Stati stranieri dalla giurisdizione e dalle misure di coercizione, che limita o impedisce l'accesso alla giustizia e l'esecuzione dei giudicati, investe molteplici aspetti delle relazioni internazionali e della tutela internazionale dei diritti umani. La tradizionale distinzione tra attività iure imperii e attività iure gestionis dello Stato estero, rilevante ai fini del riconoscimento delle immunità, è stata di recente messa in discussione in diversi ordinamenti, ove Stati stranieri sono stati sottoposti alla giurisdizione domestica in quanto responsabili di violazioni di norme imperative del diritto internazionale (ius cogens): emblematica al riguardo la sentenza della Corte italiana di Cassazione n. 5044/2004, in un caso di domanda risarcitoria di danni connessi a crimini di guerra imputabili a uno Stato estero (la Germania) convenuto in giudizio da un cittadino italiano innanzi al giudice nazionale. L'immunità è stata invece riaffermata dalla Suprema Corte nella recente sentenza n. 11225/2005 in relazione ai provvedimenti di differimento dei pagamenti dei servizi del debito pubblico del governo argentino, intervenuti nel 2002 e nel 2003 e motivati dall'emergenza pubblica in materia sociale, economica, finanziaria e cambiaria.
La ricerca si propone un'indagine sulle recenti tendenze della giurisprudenza italiana in materia di immunità degli Stati sia relativamente al processo di cognizione, sia a quello di esecuzione, anche attraverso la comparazione con le più rilevanti decisioni dei tribunali internazionali e segnatamente della Corte europea dei diritti umani (a partire dal caso n. 31253/96, McElhinney c. Irlanda, sent. 21/11/2001).