Data di Pubblicazione:
2010
Citazione:
L’ecografia vascolare / D. Baldassarre. ((Intervento presentato al 24. convegno Congresso Nazionale della Società Italiana per lo Studio dell’Arteriosclerosi tenutosi a Roma nel 2010.
Abstract:
La possibilità di effettuare una diagnosi precoce dell’aterosclerosi asintomatica (altamente predittiva di quella sintomatica), e di definirne la gravità in modo incruento, è stato l'obiettivo della ricerca tecnologica di questi ultimi anni. Fra le diverse tecniche proposte per la valutazione non-invasiva della patologia aterosclerotica, l’ecografia vascolare, ed in particolare l’ecotomografia B-Mode con sonde ad alta risoluzione, è da considerarsi senz’altro una fra le più interessanti. Tale tecnica consente di ottenere, in tempo reale, immagini bidimensionali delle arterie superficiali non schermate da superfici ossee, permettendo la rilevazione di un largo spettro di anomalie morfologiche quali: l’alterata dimensione e geometria dei vasi, lo spessore di parete, la stenosi del lume, la presenza e dimensione delle placche aterosclerotiche e delle calcificazioni. Presenta, inoltre, caratteristiche più che soddisfacenti di sensibilità, specificità, accuratezza e riproducibilità. Grazie alla sua non invasività, l’ecografia vascolare può essere ripetuta più volte e, grazie a questo, consente di valutare la naturale evoluzione della patologia aterosclerotica, così come l’efficacia di trattamenti terapeutici anti-aterosclerotici. Fra le diverse variabili che l’ecografia vascolare consente di misurare, lo spessore del complesso medio intimale delle carotidi extracraniche (anche definito “IMT”, dall’inglese Intima Media Thickness) è senz’altro una delle più studiate. Fin dalla sua prima descrizione nel 1986, questa variabile ha generato un notevole interesse scientifico tanto che, ad oggi, più di 6000 articoli sono stati pubblicati sull’argomento. Questi studi hanno fornito chiare evidenze su come questa variabile sia associata agli stessi fattori di rischio noti influenzare la patologia aterosclerotica a livello coronarico, alla presenza e gravità delle lesioni aterosclerotiche a livello coronarico e, cosa più importante, all’incidenza di nuovi eventi coronarici e cerebrali. Il grande successo dell’IMT carotideo può essere spiegato non solo in base alla sua assoluta non invasività ma anche in base alla facilità di accesso a strumenti ecografici ad alta risoluzione nella maggior parte delle strutture ospedaliere pubbliche e private e dal rapido sviluppo di strumenti ultrasonografici sempre più sofisticati che hanno permesso di migliorare la qualità delle immagini in modo significativo; permettendo di rilevare differenze in IMT anche nell’ordine di pochi millesimi di millimetro. Rispetto a misure più semplici quali, ad esempio, l'indice caviglia-brachiale o ABI, l’IMT carotideo ha anche il vantaggio psicologico di essere uno strumento di “imaging”. È noto, infatti, che sia i pazienti che i medici tendano ad avere più fiducia in strutture visibili, piuttosto che in concetti astratti. Su queste basi l’IMT carotideo è oggi considerato un indice “surrogato” di aterosclerosi non solo carotidea ma anche di altri distretti vascolari, ed in particolare di quello coronarico. L’IMT carotideo è anche l'unico test non invasivo di imaging vascolare raccomandato dall'American Heart Association per migliorare la stratificazione del rischio cardiovascolare globale. Nonostante l’enorme mole di dati pubblicati, ancora oggi non è possibile affermare, con certezza, che l’IMT carotideo sia stato completamente accettato in clinica quale misura di aterosclerosi subclinica. Dimostrare l'utilità clinica di un nuovo biomarker è un problema tutt'altro che banale e, nonostante più di 30 anni di ricerca, numerosi aspetti relativi all’utilizzo di questa variabile nella pratica clinica restano oggetto di forte dibattito. La standardizzazione della metodica, l’effettiva possibilità
Tipologia IRIS:
14 - Intervento a convegno non pubblicato
Elenco autori:
D. Baldassarre
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